Il culto delle acque sacre: la grotta di San Domenico a Villalago

di Acque Sacre

La Grotta di San Domenico o del Sacro Speco costituisce la parte più suggestiva ed antica di tutto il complesso eremitico. Essa sarebbe stata scavata da San Domenico intorno al 1013; successivamente furono edificate la chiesetta e due celle eremitiche, quest'ultime sommerse con la realizzazione del bacino idroelettrico sul fiume Sagittario. L'attuale chiesetta, più volte rimaneggiata, risale al XVI secolo. Ad essa si accede da un piccolo portico nel quale sono stati dipinti, in epoca recente, alcuni miracoli di San Domenico: il miracolo delle fave, il bambino riconsegnato dal lupo, la trasformazione dei pesci in serpenti ed il ragazzo caduto dalla quercia. 

 

Una bifora posta sul porticato offre una splendida vista del lago. L'interno della chiesa, molto semplice, presenta un altare in stile neogotico. Il paliotto in scagliola dipinta è stato realizzato nel 1761 da Giuseppe Mancini su commissione dell’eremita villalaghese Francesco Iafolla, come si legge sull'iscrizione commemorativa. Secondo quanto riportato dall'Antinori nella "Corografia storica degli Abruzzi e de' luoghi circonvicini" sul lato destro si trovava una cappella interamente affrescata con alcuni episodi della vita del Santo.  

Da una piccola porticina posta lateralmente all'altare è possibile accedere, tramite alcuni gradini scavati nella roccia, alla Grotta di San Domenico o del Sacro Speco. Nella parte sinistra della grotta, quattro piccoli pilastri delimitano un spazio rettangolare che la tradizione vuole sia il letto del Santo taumaturgico. Alcune tavole di legno su cui si ritiene che dormisse San Domenico sono state trasferite nella chiesa parrocchiale dopo esser state gravemente danneggiate da un incendio.

San Domenico Abate, monaco benedettino ed eremita itinerante (Foligno 951, Sore 1031) giunse in Abruzzo intorno al 1010, successivamente si spostò nella valle del Sagittario, a Prato Cordoso, stabilendosi in un antro naturale dirimpetto alla sorgente del fiume Sega, dove visse in preghiera e penitenza. La diffusione di notizie in merito ai miracoli che avrebbe compiuto richiamarono numerosi fedeli e seguaci. La grotta venne completata con l'edificazione di alcune cellette.  Successivamente, dietro le pressioni dei Conti di Valva, San Domenico costruì il monastero di San Pietro in Lacu ricevendo in dono l’intera Valle de Lacu.  Con la nascita del monastero si assiste allo sviluppo economico della valle con la messa a coltura di nuovi terreni grazie all'arrivo di contadini valvensi. L’importanza dell’abbazia crebbe fino ad avere sotto la propria giurisdizione quindici grancie. Le prime notizie sull'esistenza del Monastero degli eremiti in Valle que dicitur Pratum Cardosum e del monastero di San Pietro in valle de lacu, risalgono ad un atto di donazione fatto nel 1067 dai Conti di Valva a Montecassino. 

 

Nella grotta, secondo quanto riportato dal Paoletti, venivano compiuti alcuni rituali: i devoti usavano strofinare oggetti sulle pareti muschiose o sul pavimento e prelevare l’acqua che trasuda dalle pareti. Il prezioso liquido veniva dispensato ai malati in quanto in grado di curare ogni male. Il Pansa, nel 1924, riferiva anche del rituale dell'incubatio e dell’abluzioni compiute in un torrente vicino all'eremo. 

Ma miracoli legati all'acqua sarebbero avvenuti già quando il monaco benedettino era in vita:

E fu un garzone di Castello di nome Leone, al quale si era messa una febbre cocentissima, che lo faceva trangosciare, e disperare della vita. Avendo udito molto parlare della santità di Domenico, e tutto fede in Dio che lo volesse liberare da quel malore per la orazione del suo servo, andò alla sua cella, e raccolta dell'acqua con cui Domenico aveva lavate le mani, ne bevve, e guarì per divina virtù. La qual cosa fu saputa da una gentildonna, che da molto tempo infermata di flusso sanguigno, era dai medici tenuta presso che morta. Costei mandò dicendo per lettera all'uomo di Dio, le volesse con la virtù delle sue orazioni ottenere dal Signore misericordia e sanità, trovandosi in mal punto di morire; e per sola carità le mandasse un po' di acqua in cui avesse bagnate le mani, perché il beverne ed il guarire dall'ostinato malore sarebbe stato tutt'uno. Il Santo dapprima rifiutò di ciò fare, come colui che si teneva per peccatore; ma poi commiserando alla necessità della pia matrona, e guardando alla sua fede, le mandò un vasello con dentro acqua benedetta con questo consiglio: bevessela, e non ai meriti di chi mandavala, ma alla virtù sola di Dio con calda fede si commettesse. Fece la donna secondo il detto del Santo, e incontanente sanò. Anche oggidì accorrono in pio pellegrinaggio i fedeli al Plataneto, a venerare la celletta scavata nel sasso abitata dal Santo, e bevendo con fede l'acqua che vi corre intorno per lo sciogliersi della neve dei monti soprani, vengono alcune volte sani dei loro malori. Così suole Iddio glorificare se stesso non solo nell'opera delle mani dei suoi servi, ma anche nei luoghi ch'essi abitarono; tanta è la virtù che accompagna sempre i giusti, che sono templi dello Spirito Santo .

 

 Bibliografia

Paoletti I., Documenti e tradizioni di medicina popolare in Abruzzo (2ª parte), «Rivista Abruzzese», Lanciano, 1963, n. 4. 
Pansa G., Miti, leggende e superstizioni dell’Abruzzo, vol. I, Sulmona, Ubaldo, Caroselli Editore, 1924.
Tosti L. Della vita di San Domenico Abate dell’Ordine di San Benedetto, Napoli, 1855, pp. 29-30.

 Foto di San Domenico tratta dal volume Cassinese L.T., Della vita di San Domenico Abate dell’Ordine di San Benedetto, Napoli, 1855, p. 29.

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