Monumento all'emigrante, Lama dei Peligni

di Silvia Scorrano

Lama dei Peligni con una lapide ricorda i suoi emigranti, hanno lasciato il cuore nel paese natìo, parole d'amore incise sulla pietra. Diverso è il tono del brano che segue, qui siamo nella Roma della seconda metà dell'Ottocento, a Piazza Montanara, dove si riunivano in cerca di lavoro, guardati con occhio di sdegno, e chiamati "col beffardo nome di burrini".

Piazza Montanara

Sul far della sera la Piazza Montanara di Roma presenta uno spettacolo animatissimo. È il luogo di ritrovo di quei poveri proletari che spinti dalla fame lasciano le salubri montagne dell'Abruzzo per affrontare la mortifera coltivazione delle Paludi Pontine, ricchezze dei principi romani. 
Quivi essi si raccolgono in cerca di lavoro, e quivi vengono i mercanti di campagna (1) ad appigionare le loro braccia. Non tutti quei poverelli ritornano alla famiglia, e spesso è il prezzo di una vita corrosa dalle febbri maligna, che i compaesani recano sospirando ai loro figliuoli.
I romani hanno dimenticato che i gloriosi loro padri alternavano le fatiche dei campi coi supremi poteri della dittatura, e maneggiavano l'aratro con quella stessa mano, che vittoriosa brandiva la spada nel folto delle battaglie. Essi disprezzano oggi profondamente coloro che lavorano la terra.
Non v'è un romano, per meschino e pezzente egli sia, che non guardi con occhio sdegno questi poveri agricoltori. In Roma, li chiamano comunemente col beffardo nome di burrini, e qualunque cittadino si terrebbe offeso di questo appellativo, come della massima fra le ingiurie.
burrini di Roma mangiano pan nero e bevono acqua; dormono nell'estate sui gradini delle chiese, nell'inverno dentro le stalle, col nudo terreno per letto e una corda tesa per origliere. Questi martiri del lavoro, spregiati da tutti, scherniti da una plebe superba, possono considerarsi come veri paria in quell'unica città di Europa, che conserva nel suo seno tante gradazioni sociali, da non trovare riscontro se non nelle caste dell'India. 
Questi esseri avviliti in mezzo alla potente metropoli del cristianesimo, contano quanto la polvere della strada, sono atomi che passano e nulla più.
Eppure v'è un'occulta sterminata potenza, alla quale, nella sua avidità di potere e di lucro, non sfuggono nemmeno quei grani di polvere, nemmeno quegli atomi ignoranti. 

 (1) Fittaiuoli o agenti dei principi romani

Tratto da Italo Fiorentino, Gli ultimi giorni di Roma Papale. Romanzo Contemporaneo, cap. I, pp. 2-3. Il romanzo è stato pubblicato in La via di Roma, Strenna popolare per l'anno 1868, Venezia, Tipografia del Tempo, 1867.