Spunti di riflessione sulla montagna abruzzese

di Silvia Scorrano

Definita da Silone (1948) come il personaggio più prepotente della vita abruzzese, la montagna ha plasmato la vita economica e sociale dell’intera regione fin quando la bonifica delle aree costiere e le trasformazioni del sistema produttivo hanno portato all’affermarsi di una marittimità, espressione di una crescita demografica e produttiva avvenuta lungo la fascia costiera, che modificava la dualità regionale in termini di aree forti e deboli.
Nel secondo dopoguerra, la montagna diventava sinonimo di marginalità economica; la forte emorragia migratoria ne intaccava la struttura urbana innescando un ulteriore processo di regresso delle deboli funzioni urbane. In controtendenza, l’oro bianco della neve con l’apertura dei primi impianti sciistici consentiva il decollo turistico di alcune località.
Superato definitivamente il modello economico regionale dominato dalla pastorizia transumante e fallite le più rosee aspettative legate agli interventi della Cassa per il Mezzogiorno, la montagna veniva inserita in una prospettiva di sviluppo sostenibile all’insegna della protezione del territorio tanto da farle meritare l’appellativo di Regione Verde d’Europa. Un processo di sviluppo che, in un contesto sempre più globalizzato, risultava in linea con le nuove tendenze turistiche che puntano sulla riscoperta del patrimonio culturale. Ma la montagna è un ambiente fragile, uno scrigno di tradizioni e di antichi saperi in un delicato equilibrio ecologico che richiede una particolare attenzione e apre numerosi interrogativi. I centri storici abbandonati portano ancora le tracce di un florido passato, ma quale recupero per essi? La rinascita può avvenire solo attraverso la semplice ristrutturazione delle sue abitazioni, o si deve auspicare anche il recupero del paesaggio umano? Vi è ancora un paesaggio umano? La forte emorragia migratoria ha privato la montagna della sua identità e della sua cultura?
Questi sono solo alcuni dei tanti interrogativi che emergono quando si osserva la montagna abruzzese, quando si leggono le tante ferite lasciate dall’uomo e dalla natura. Gli squarci lasciati dal sisma sono ancora vivi. Lo sguardo vaga in stanze che ora non ci sono più. Insegue tracce di vita comunitaria sbiadita.

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Altrove le tracce di un tentativo di industrializzazione. Capannoni industriali, in parte riqualificati in commerciali, hanno uniformato il paesaggio secondo canoni ideati altrove. Una modernità standardizzata inserita in un paesaggio che non è definibile né naturale, né rurale, né urbano segna i punti nodali della montagna abruzzese.
Lunghi viadotti, nastri di cemento collegano l’Adriatico al Tirreno, le conche intermontane l’una all’altra, ma quale è stato il costo sul paesaggio? E cosa dire delle case torre di pietra, ora intonacate e tinteggiate di un rosa chiaro, di un celestino, con il tetto spiovente rivestito in legno! In quale cittadina siamo approdati? Per trovare l’Abruzzo montano bisogna spolverare i libri di qualche biblioteca e immergersi in una lettura di 50 e più anni fa? Ma quale Abruzzo trasmettono queste letture?
Lo sviluppo economico a quale prezzo deve avvenire? Su quale modello deve poggiare? Il nostro patrimonio culturale è inserito in un sistema territoriale in grado di supportare l’aggressività del turismo? La montagna continua a vivere delle sue risorse naturali: tramontata la stagione dei pascoli, del legname e dei minerali cerca la propria ricchezza nella neve, nelle acque termali, nei laghi e nei fiumi.
Un turismo “fuori porta” troppo legato alle seconde case, spesso recuperate nel borgo natio, ha determinato un effimero ripopolamento. Nuovi abitati sono sorti, senza un’anima, giustapposti al centro storico e spesso lontano da esso. Sono i centri della villeggiatura, dello sci, lunghi nastri di cemento, ferite nella montagna, chiusi, abbandonati, talvolta in decadenza ricordano i lunghi soggiorni del secolo scorso.
La montagna, protetta nella speranza di una nuova vita, riuscirà ad essere la montagna della riscoperta della propria identità, del ritorno dell’emigrate, del turista silenzioso che osserva e non giudica i resti di un passato anche glorioso.
Si avrà mai la montagna degli equilibri? dei grandi numeri della neve in armonia con la natura selvaggia, con il lupo, l’orso, con l’aquila che dall’alto domina. La montagna dell’anziano che attende sull’uscio di casa un altro giorno, che sente il pianto del bimbo giunto da lontano, non parlano la stessa lingua, non hanno la stessa identità, ma il bimbo cerca il pane come l’anziano lo cercò altrove

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