La Maggiorana di Domenico Ciampoli

di Acque Sacre

   La notte dell'ultimo d'Aprile è costume vecchio quanto l'Orco – tra le nostre montagne si sta a veglia come alla vigilia del Natale; ma su le rupi e su i poggi non si accendono i grandi fuochi che splendono tra la neve il ventiquattro Decembre; sì bene sull'aia, quando il tempo è bello  e lo è quasi sempre di quel giorno  tutti gli abitanti del villaggio fanno a gara per metter fuori le primizie della stagione, e, adornatele di fiori, aspettano che le colga la rugiada dell'alba, accoccolati in giro a raccontar panzane e storielle e favolette da tener desti anche i sordi.
   Ed è una vera festa a chiaro di stelle, perché si cantano a coro gli stornelli montagnuoli, si suonano pifferi e zampogne, e spesso, se capita il destro, si mette su pure il ballo delle trecce, ch'è una grazia a vedere.

 

 E le primizie, messe all'aperto nella notte, s'offrono la dimane in chiesa alla Madonna; né v'è al mondo un poverello tanto poverello che non offra fosse pure il gambo d'una ginestra. E sono vasi di latte con attorno ramicelli di rosmarino; sono ricotte grandi, come piccole torri tremolanti, con a capo una bella rosa e a piedi un lettuccio di pampini; e poi agnellini attortigliati di nastri rossi, e capretti bianchi e neri con collari di giunchi fioriti; sono ceste di vimini colme di piselli, di fave e di ciriege; sono mazzi di spiche verdi, e arcate di viole romane rosse e gialle; e sono infine bambini e fanciulette, proprio di carne viva, che si presenteranno anch'essi la dimane come offerta, insieme a' polli, a' fiori, alle giuncate, alle uova e all'altre cose che abbiamo detto di sopra.
   Ma appena canta il gallo, sulla mezzanotte, restan all'aperto solo gli uomini e le donne adulte; le giovinette scompaiono in un baleno e si vanno a nascondere nel cantuccio più buio della casa a pregar la Madonna che mandi o serbi loro uno sposo. E par che la Madonna le ascolti, perché sul finir del maggio, il Sindaco ed il Pievano si danno un gran da fare per mettere insieme un bel numero di giovanotti e di fanciulle, a cui nell'aprile dell'anno prossimo è lecito poi di restare all'aperto, anche dopo il canto del gallo a mezzanotte. 
   Or venne un anno  e da questo saran passati più di millanta, al dire della nonna mia  che una povera fanciulla corse anche lei nel suo cantuccio e pregare la Madonna....
   Erano sett'anni che pregava e pregava sempre; ma lo sposo non era mai venuto. E si struggeva la poverina come il ghiaccio al sole; ma nessuno la sentiva mai lamentare. Era buona buona come una monachella; non cantava mai; e spesso la si vedeva seduta sola sul ciglio de' monti, o tra saliceti della valle, col capo chino sul petto e con due lagrimoni sugli occhi.
   Perché era mesta e piangeva?
   Un giorno le avevano detto d'esser brutta; ed ella specchiatasi in una fonte, s'era trovata brutta davvero. Da quel giorno non aveva più riso, né fatto risuonare più mai gli echi montanini con le sue canzoni. La compagne la vedevano alla domenica soltanto, quando rincantucciata e quasi nascosta accanto ad un confessionile, andava in chiesa; poi scompariva per una settimana intera, né c'era verso di vederla più. Tra il folto della boscaglia, negli spachi delle forre, lungo le rive dei ruscelli, il mandriano o il cacciatore, passando, non le avevano detto mai parola. Solo qualche viaggiatore smarrito le aveva dimandato della via, e se n'era poi ito, senza neppur ringraziarla. Una cupa tristezza, una rassegnata malinconia l'accompagnavano sempre; non un giorno, non un'ora di festa. Gli stessi fiori parevano non aver più profumi per lei. 
   Mentre dunque pregava la Madonna:  Vergine Santa, o fatemi morire, o mandatemi uno sposo ; ecco tutta la cameruccia empirsi di luce vivissima, che le offuscò la vista. Poi di mezzo a quella luce, che pareva venire e perdersi lontano lontano, vide disegnarsi una figura bianca, come la neve de' monti, bella come la fata del lago, e sorriderle e tenderle le braccia affettuosamente, e poi man mano sparire a misura che anche la luce si spegneva. 
   Come fu tornato il buio, le parve d'aver fatto un bel sogno, aperse gli occhi e rinnovò la preghiera:

 Vergine santa, o fatemi morire o mandatemi uno sposo.

Non aveva finito di pronunciare queste parole, ed ecco sotto le sue finestre cominciò un preludiare soave di dolcissimi suoni. Come incredula, tese gli orecchi, un lampo le brillò negli occhi e fissando al cielo lo sguardo:

 Finalmente! – esclamò:  Dopo sett'anni! 

   Ma non si mosse dal suo cantuccio. Trepidante ascoltava il suo nome intrecciato a' versi che una voce limpida, dolce commovente cantava....Era felice!  Anche per lei un giovanotto, forse un bel giovanotto v'era, e le portava la mattinata, come tant'altre prima di lei, per sett'anni, l'avevano goduta. 
   Volle levarsi, andare alla finestra, vederlo ma non potè. Pareva che una forza ignota la tenesse ferma in quel cantuccio, e si sentiva stanca stanca. 
   Allora chinò il capo e si addormentò. 
   All'alba fu destata da cento e cento voci sotto le sue finestre.

 Mamma, mamma!  gridò ansiosa;  E' dunque lo sposo che viene? 
— Figlia, figlia  risponde la madre:  Non è lo sposo che viene; è la gente che vede apparecchiarsi un funerale. 
   E vanno alla finestra.

— Vedi, mamma; piantato sulla nostra porta è un albero di maggio tutto fiorito, e a lettere di oro è scritto su d'una corona:  Regalo dello sposo. 

 Figlia, è la croce quello che tu vedi; e la corona d'oro è corona di spine.
 Vedi, mamma, tra la folla, quel giovanetto biondo che mi sorride, e si avanza e pare che mi tenda le braccia?
 Quella folla, figliuola, è il villaggio a lutto, e il giovanetto biondo è il beccamorti.
 Mamma, io mi sento felice... 
 Sei pallida, figliuola.
 Vedo il cielo tutto illuminato....
 Sono i ceri de' preti.

   Poi si levò il sole, laggiù fra la nebbia del mare, e la fanciulla vide scintillare il suo albero dinanzi alla porta; e tutta la gente si fermava a guardarlo, e le giovinette ne sentivano invidia. Le campane della chiesa suonavano a distesa; tutti correvano a offrire le primizie di maggio alla Madonna .... Anch'ella vi andò, e come fu in chiesa, non trovò nulla da porre sugli scalini dell'altare. Corse allora a casa, spiccò dall'albero di maggio la bella corona d'oro, e tornata in chiesa, s'inginocchiò fra le altre donne, e disse:

— Madonna! Io sono poverella poverella: tu mi hai mandato lo sposo, e io t'offro il suo dono, ch'è tutto il mio tesoro, e con questo dono t'offro pure il mio cuore....

La Madonna tese la mano e prese la corona d'oro, mentre tutta la gente si prostrava, gridando:  — Miracolo! Miracolo!  
quando la messa fu finita, tutti accompagnarono la fanciulla alla casuccia e sussurravano ch'era diventata bella. Solo la mamma diceva:

— Sei pallida, figliuola: la gente si apparecchia al funerale.

   Ma sul tramonto, l'intero villaggio fu scosso da un suonare di trombe, e si videro avanzare tanti valletti vestiti d'argento, che dicevano:

— Largo, largo al nostro signore!

   Ed ecco venire avanti una gran carrozza dorata con dentro un giovanotto tutto vestito d'oro:
La fanciulla ch'era alla finestra:

— Mamma, mamma  gridò ansiosa: — viene lo sposo, viene....
— Figlia, figlia, non è lo sposo che viene, è il beccamorti.


  Ma la folla circondava la carrozza, e la carrozza si fermò innanzi alla casuccia. E i valletti entrarono e deposero ai piedi della fanciulla vesti di broccato e una corona di gemme.

— Vedi, mamma, com'è bella questa vesta da sposa....
— Figlia; non è vesta da sposa; ma è il lenzuolo della bara.
— Vedi, mamma, questo serto di gemme; è corona d'ulivo benedetto.

   E come fu abbigliata, tutta lucente, il giovanetto scese dalla carrozza, la prese per mano, la baciò sulla fronte e se la mese a sedere a fianco.
Poi la carrozza si mosse e tutta la gente gridava: 
— Vivano gli sposi! — solo sulla finestra della casuccia, era la mamma che piangeva.

Come stava per scendere nella vallata, la fanciulla si volse sorridendo:
— Addio mamma! — gridò.
E la mamma tese le braccia dalla finestra, urlando disperata:
— Tu sei morta, povera figliola!

   Ma la gente non l'intese, perché guardava la bella carrozza che scendeva leggiera leggiera; e come fu vicina al camposanto, parve arrestarsi un poco, poi circondarsi d'una lieve nebbia e da quella nebbia e da quella nebbia uscire una fanciulla colle ali dorate e con la veste bianca, spiccare un rapido volo, e volando volando ripassar pel paesello, far cader un gambo dell'albero di maggio proprio innanzi alla sua casuccia, e poi sparire avvolta dalle rosee nuvolette del tramonto.
Tutta la gente corse a raccogliere, meravigliata, e a baciare quel ramo benedetto.... solo la mamma piangeva:
— E' morta, è morta la mia povera figliuola!
Da quel giorno, raccontando il fatto, chiamano Maggiorana la fanciulla; e ogni anno nella notte dell'ultimo d'Aprile, nei nostri villaggi, i fidanzati piantano un alberetto fiorito innanzi alla porta della innamorata, cantando gli stornelli montanini.

 

 

 

 La Maggiora è una delle cinque fiabe di Domenico Ciampoli pubblicate nel 1880.

Scrittore di novelle e romanzi, Ciampoli nacque ad Atessa nel 1852. Laureatosi a Napoli in Lettere, ebbe modo di frequentare i circoli letterari entrando in contatto con Carlo Del Balzo e la sua Rivista nuova, un quindicinale nel quale collaboravano anche Serao, Capuana e Verga di cui il Ciampoli fu profondo ammiratore. Studioso di usi, tradizioni e dialetto abruzzese, nel 1877 pubblicò Bianca di Sangro, un racconto storico, e l'anno successivo una raccolta di novelle Fiori di monte, frutto di una minuziosa ricerca sulla cultura e sui costumi abruzzesi. Nel 1880, vengono pubblicati a Milano i Racconti abruzzesi, non esenti da critiche in quanto spesso l'Autore cadeva nel luogo comune e nel manierismo. Nello stesso anno, a Lecce uscivano le Fiabe abruzzesi trascrizione della tradizione orale. Grande successo ebbe la raccolta di novelle Trecce nere nelle quali emerge pienamente l'adesione al canone verista; nel discorso diretto è reso il linguaggio figurato del mondo rurale abruzzese. Dopo un'altra raccolta di novelle, Cicuta, edita a Roma nel 1884, il Ciampoli abbandonò il genere novellistico e scrisse il romanzo Diana (1884), una storia tragica d'amore ambientata nella borghesia abruzzese. La produzione letteraria dedicata all'Abruzzo si chiuse nel 1890 con la raccolta Fra le selve, uscita a Catania in due volumi.

Ma Ciampoli è ricordato soprattutto per la sua attività di studioso e divulgatore della cultura straniera in particolare della letteratura e cultura slava; fu traduttore dei grandi narratori russi, di Dostoevskij, Gorkij, Turgeney, Puskin, Tolstoj e di canti popolari slavi, bulgari, armeni. 

 Per una bibliografia di Domenico Ciampoli

 http://www.acquesacre.it/index.php/it/47-ultime-news/207-la-maggiorana-di-domenico-ciampoli